1974 | I tedeschi sconfiggono il 'calcio totale'

di Adalberto Bortolotti *

Da tempo il calcio aveva deciso di celebrare il suo decimo appuntamento mondiale in Germania Occidentale e la ricorrenza andò a coincidere con il periodo di massimo fulgore del football tedesco. Seconda alla Coppa Rimet del 1966, terza classificata quattro anni dopo in Messico, ai Campionati Europei del 1972 la Germania Ovest aveva prevalso sugli avversari con grande facilità, imponendo una squadra quasi perfetta, che ruotava attorno ai fuoriclasse Beckenbauer e Müller. Nello stesso anno Monaco aveva ospitato le Olimpiadi, tragicamente finite nel sangue per l'assalto al villaggio israeliano del commando palestinese Settembre Nero. Quell'ombra pesò molto sullo svolgimento del Mondiale, stretto in una gabbia di rigorose misure di sicurezza e quindi privato di quell'atmosfera di fiesta popolare che in Messico, nell'edizione precedente, aveva toccato i suoi momenti più genuini e inebrianti.

7 luglio 1974, Olympiastadion, München
Der Bomber der Nation colpisce e affonda anche la grande meraviglia del torneo
Il Brasile si era portato definitivamente a casa la Coppa Rimet, dopo aver centrato tre vittorie nel breve arco di quattro Mondiali, dal 1958 al 1970. Il concorso lanciato dalla FIFA per creare il nuovo trofeo da mettere in palio vide prevalere, fra 53 bozzetti, l'opera dello scultore italiano Silvio Gazzaniga, due atleti con le mani levate in alto a sostenere il globo. Il trofeo, 36 cm di altezza, era stato scolpito con 5 kg d'oro massiccio su una base di 13 cm di larghezza. Il nuovo nome era Coppa FIFA e, a differenza della precedente, nessuna nazione avrebbe potuto aggiudicarsela a titolo definitivo. Al campione in carica sarebbe stata assegnata una piccola copia, mentre l'originale sarebbe rimasto di proprietà della Federazione internazionale.

Novantasette paesi, dai cinque continenti, si erano iscritti alle qualificazioni. La fase finale subì un ulteriore cambiamento di formula. Dopo i soliti quattro gironi, deputati a ridurre da sedici a otto le finaliste, non ci sarebbe stata l'eliminazione diretta, ma altri due raggruppamenti, di quattro squadre ciascuno. Le prime due classificate si sarebbero incontrate nella finalissima, le due seconde nella 'finalina' per il terzo posto. In tal modo, le partite salivano da 32 a 38, per la gioia degli organizzatori.

Gli anni Settanta avevano portato notevoli rivolgimenti sotto il profilo tecnico. Il Brasile aveva chiuso il suo ciclo glorioso; l'Inghilterra era rientrata nei ranghi; la stessa Italia di Messico 1970 avvertiva i sintomi dell'usura, anche se nel 1973 aveva battuto, per la prima volta nella sua storia calcistica, l'Inghilterra sul campo di Wembley, e il suo portiere Zoff aveva accumulato un impressionante record di imbattibilità, quasi due anni senza subire un solo gol. Si profilavano nuove realtà, come la Polonia, autentica rivelazione del torneo olimpico di Monaco, e soprattutto l'Olanda, il cui calcio si era prima imposto a livello di club, con il dominio dell'Ajax nella Coppa dei Campioni, poi anche con la nazionale. Gli olandesi praticavano un gioco nuovo, affrancato dai ruoli, che prevedeva l'intercambiabilità fra i reparti e non offriva agli avversari valide contromisure. Fu chiamato 'calcio totale' e destò subito grande ammirazione, perché dominato da una mentalità offensiva, senza calcoli, e sostenuto da un ritmo e una velocità sino allora sconosciuti. Il modulo, poi, veniva esaltato da interpreti d'eccezione, primo fra tutti Johan Cruijff, fuoriclasse epocale, che contendeva la ribalta europea al tedesco Franz Beckenbauer. Fra vecchio e nuovo, si collocava la Germania Ovest, che si impose nella finale sull'Olanda, con l'aiuto (seppure non scandaloso, come altre volte era successo) del fattore campo, ma soprattutto grazie alla sua capacità di mediare fra i valori della tradizione e le innovazioni del calcio olandese. Fu una finale densa, come forse nessun'altra, di significati storici. Solo gli osservatori superficiali conclusero che il 7 luglio 1974, nell'avveniristico Olympiastadion di Monaco, il trionfo di Beckenbauer su Cruijff fosse la vittoria del calcio conservatore su quello riformista.

22 giugno 1974, Volksparkstadion, Hamburg
Manco a dirlo, è il "Kaiser" che officia la prima (e unica) partita
tra la Germania Federale (BRD) e la Germania Democratica (DDR)
A quel punto, le due finaliste di Città del Messico si erano già fatte da parte: il Brasile con decoro, inchinandosi alla straripante superiorità atletica degli olandesi in semifinale, ma ancora quarto nel ranking conclusivo; l'Italia fra violente polemiche, prima oggetto di manifestazioni di entusiasmo da parte di 60.000 emigrati, poi della contestazione disperata dei tifosi traditi. L'Italia non superò il primo girone, dominato dalla fresca Polonia. A parità di punti con l'Argentina, decise la differenza reti, e l'ago della bilancia fu la partita giocata contro Haiti: gli azzurri vinsero solo per 3-1, gli argentini si imposero per 4-1. L'eliminazione non fu il lato peggiore. Giorgio Chinaglia contestò pubblicamente il commissario tecnico Valcareggi e la Polonia denunciò un tentativo di corruzione (mai provato) per l'ultimo match, in cui un pareggio avrebbe consentito all'Italia di andare avanti, pur preservando il primo posto dei polacchi. Quel campionato decretò la fine della lunga (e tutto sommato felice) direzione tecnica di Valcareggi, nonché il tramonto di campioni quali Rivera, Mazzola e Riva che avevano scritto pagine importanti nella storia del calcio italiano.

L'Olanda aveva stupito sin dall'avvio: 2-0 all'Uruguay, 4-1 alla Bulgaria, un portiere che usciva dall'area per prendere parte al gioco, cose mai viste. In quella squadra, chiamata per il colore delle maglie e per l'automatismo della sua manovra 'l'arancia meccanica', sembrava impossibile trovare un punto debole. Anche nel secondo girone Cruijff e i suoi compagni imperversarono senza sosta: 4-0 all'Argentina, 2-0 alla Germania Est, 2-0 al Brasile, per un totale di otto gol realizzati, nessuno subito. Le porte della finalissima si spalancarono e il trionfo sembrava sicuro.

23 giugno 1974, Neckarstadion, Stuttgart
Un'Italia a terra esce per l'ennesima volta dai gironi eliminatori
Dall'altra parte la Germania Ovest riuscì a battere senza troppi problemi Svezia e Jugoslavia, poi giocò contro la Polonia per il primo posto e per la finale. Una partita memorabile sotto il diluvio, giocata a ritmi serrati. La Polonia, sino a quel momento, aveva collezionato cinque vittorie su cinque. La Germania Ovest aveva ceduto, nel girone preliminare, alla Germania Est nel primo, storico confronto ufficiale fra le due parti del paese: peraltro, a quel punto, la qualificazione era già assicurata. La Polonia dominò il primo tempo senza segnare, poi i tedeschi presero vigore e il portiere polacco Jan Tomaszewski giganteggiò parando anche un rigore. Fu il cannoniere Gerd Müller, sino a quel momento rimasto in ombra, a batterlo con uno dei suoi proverbiali riflessi sottorete. Alla fortissima Polonia andarono tutti gli elogi, ai quali aggiunse in concreto il terzo posto conquistato sul Brasile.

Gli olandesi iniziarono dunque la finale con i pronostici a loro favore. Al fischio d'inizio tennero la palla per un minuto, senza farla toccare ai tedeschi. Al termine di quella manovra insistita, Cruijff si lanciò verso la porta e in piena area fu abbattuto dal suo marcatore, Berti Vogts. L'arbitro inglese John Taylor concesse il rigore e l'Olanda passò in vantaggio. Fu la sua fine. L'illusione di una vittoria più facile del previsto la paralizzò. La Germania Ovest riordinò pazientemente le file, pareggiò a sua volta con un rigore, passò in vantaggio prima dell'intervallo con il guizzo beffardo del solito Müller. Nella ripresa, l'Olanda uscì dal torpore, attaccò a tutto spiano, ma era troppo tardi. Il calcio totale era stato sconfitto un po' dall'intelligenza avversaria e molto dalla propria presunzione. Disse Cruijff, anni dopo: "Quel titolo non lo vinse la Germania, lo perdemmo noi". Fu per gli olandesi una magra consolazione essersi imposti all'attenzione del mondo calcistico come il modello da imitare.

* Tratto da I Campionati Mondiali, in Enciclopedia dello Sport, Treccani, 2002 (© Treccani)